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Fini del mondo 

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Il mondo è finito ma ha un modo tutto suo di non esserci più. Ci appare la notte come un involucro in cellophane che contiene la pagnotta del cielo in lievitazione lenta. Tant’è che a prima vista pare ancora intatto, con tutti i suoi legami, le fibre che rilegano da una parte all’altra, le unità di senso, le correnti navigabili, flussi d’affetto e sensazione, e gli universali come spiriti serafici seduti a gambe incrociate ad un metro dal suolo in stasi. Il mondo è finito ma non è ancora finita la fine, per questo facciamo come se niente fosse, davanti a questi titoli di coda che sfilano a fine proiezione, coi nomi e con le immagini, una dopo l’altra a ripeterci nient’altro che un’altra fine. Allora sfogliamo il pianeta, le immagini della vita, come fosse l’album di famiglia di qualcuno che non conosciamo.

 

Fini del mondo insomma non è la fine del mondo, quanto piuttosto un inventario delle traiettorie di ciò che ci finisce addosso: perché una moltitudine di eventi continua frammentariamente a concludersi a noi attorno, alcuni su scale temporali impensabili, altri a misura d’occhio e d’intendimento. Fini come cause finali, proiezioni, appunto, verso cui si protende ciò che finendo continua, lasciandoci dormire nella scia. Il mondo dorsale, cablato e fossile, che continua con altri mezzi che il mondo, a finire a tutto tondo. E in questo sfinimento, noi siamo quelli davanti allo schermo.

Gabriele Stera (1993) è poeta, artista sonoro, performer, attivo principalmente in Italia e in Francia, dove vive. Il suo primo libro-disco, Dorso mondo, è uscito per Squi(libri) nel 2021.

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